Con
circolare del 2 novembre 2015 è stata data ai detenuti la possibilità di
collegarsi ad internet e di fare colloqui con Skype. In parlamento è all’esame
una proposta di legge per creare nelle carceri le “stanze dell’affettività”,
come avviene nei maggiori Paesi d’Europa. Sono 31 i Paesi
europei (ma è così anche in India,
Messico, Israele, Canada) che prevedono la possibilità per i
detenuti di usufruire, in carcere, di spazi in cui trattenersi con persone cui
sono legate affettivamente, al riparo dal controllo visivo degli agenti
penitenziari. Il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo
all’affettività inframuraria è anche l’approdo raccomandato da atti del Consiglio d’Europa, del Parlamento
europeo e da sentenze della Corte di
Strasburgo
Dr.Aldo
Maturo
Dirigente Penitenziario (1974-2005)
Gli ultimi “rumori”
che salgono dal carcere sono in decisa controtendenza rispetto agli
orientamenti della pubblica opinione, traumatizzata ogni giorno dalle notizie
di cronaca che non ci risparmiano furti, delitti, rapine, corruzione e tutto
quanto ci può offrire una criminalità in passamontagna o in camicia bianca. Ma
questo è il problema dell’eterna contraddizione che si vive da sempre nelle
carceri, oscillanti da sempre sul pendolo dei buonisti o dei giustizialisti.
Nel quadro di nuove
sperimentazioni, fa il suo ingresso in carcere la Rete Internet, da sempre
bandita per motivi di sicurezza, e si affacciano all'uscio le "stanze dell'amore".
Il Ministero della
Giustizia, infatti, ha ritenuto di incentivare l’utilizzo dei computer da parte
dei detenuti non solo per un utilizzo in video scrittura o grafica (come già
avveniva fin dagli anni ’90) ma anche per collegarsi alla rete internet per
motivi di studio, formazione ed aggiornamento professionale. Non può non
cogliersi l’importanza di tale “apertura” anche se l’uso potrà avvenire ufficialmente solo in
postazioni situate in locali prestabiliti (ad esempio biblioteche, aule, etc.)
con accesso limitato alle "White list" di siti selezionati ed autorizzati dal
ministero.
Fatta strada ad
internet, si è ritenuto di poter sfruttare anche l’applicazione Skype per
facilitare i colloqui con i familiari, lontani dalla sede detentiva o
impossibilitati a viaggiare.
I due provvedimenti,
già attuativi con la circolare del 2 novembre 2015, consentiranno ai detenuti
di “….sperimentare nuove tecniche di apprendimento, studio e formazione…”.
Sotto l’aspetto
dell’operatività e della sicurezza penso potranno esserci dei “disservizi”
perché non riesco ad immaginare – nelle migliaia di collegamenti con Skype -
quale forma di controllo potrà fare la Direzione e il personale di polizia
penitenziaria. Se in un carcere con 700, 800, 1000, 2000 detenuti ci sarà
un 10% di richieste al giorno, bisognerà controllare 70, 80, 100, 200
video collegamenti intervenendo quando sullo schermo apparirà non solo la
moglie e i figli ma anche gli amici, l’amica, il compare, il vicino di casa e,
perché no, il “compagno di merenda”, tutte persone che verosimilmente non
sarebbero state autorizzate a fare colloquio se si fossero presentate al
carcere personalmente. Sono sicuro che Roma avrà valutato tale circostanza e
l’avrà superata con precise direttive. Anche se, come sempre, è cosa ben
diversa dare disposizioni dal centro ed eseguirle poi concretamente in
periferia.
Le stanze dell'affettività
Quello di internet è
un problema secondario se si raffronta a quello che bolle in pentola a livello
politico. Dopo la lotta al sovraffollamento, risolta anche con provvedimenti
deflattivi del carcere e con la sostanziale depenalizzazione di circa 120
reati, è diventato ora centrale il tema dell’affettività in carcere.
Per coltivarla, in
tutti i sensi, c’è una proposta di legge (primo firmatario il Sen. Zan, PD, ma
la cosa trova l’appoggio anche di parlamentari di altri gruppi) che
prevede la possibilità di una visita al mese – tra detenuto e familiari -
della durata minima di sei ore e massima di 24 ore all’interno di “locali
adibiti e realizzati a tale scopo senza controlli visivi e auditivi”. Stanno
per nascere le “stanze dell’affettività” o, secondo altri, “le stanze
dell’amore”.
In realtà lo spirito
del legislatore è quello di consentire al nucleo familiare del detenuto di
vivere ore di socialità domestica con la moglie e i figli, di ricreare il
salotto di casa, di vivere tranquillamente anche momenti di intimità.
Insomma, colloqui ben diversi dal trambusto di una affollata e
tradizionale sala colloquio.
Su questo tema
alcuni parlamentari si sono collegati via Skype con i detenuti del carcere di
Padova e con i loro familiari, ricevendo spunti positivi per portare avanti la
proposta di legge, deducendone (ma ci voleva questo collegamento per
saperlo?) che “ l’uomo assume atteggiamenti positivi quando vive
bene le relazioni sociali”.
In realtà le “stanze
dell’affettività” già esistono, in via sperimentale, nel carcere di Milano
Bollate, anche se non mi è nota la precisa organizzazione interna di tali
spazi. Sono formate da una cucina, un frigorifero, un tavolo con le sedie, un
divano con un televisore. Tutto viene seguito a distanza dal personale di
custodia tramite microtelecamere. Sono nascoste ma la loro presenza
deve essere nota agli occupanti.
A dire il vero, se
passasse la legge (altre sono state presentate fin dal 1997 ma sono tutte
naufragate) noi non saremmo il primo Paese ad averle ammesse. Questi spazi
dell’affettività in carcere, o “stanze dell’amore”, sono già da anni operativi
in molte carceri della Russia, Francia, Olanda, Danimarca, Spagna, Svizzera,
Svezia, Finlandia, Norvegia, Germania ed Austria. In Spagna, Germania e Svezia
ci sono miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per alcuni
giorni con la famiglia.
Al momento non è ben
chiaro quale dovrà essere il ruolo del personale di polizia penitenziaria e
degli altri operatori nella gestione di questo “servizio”.
D’altra parte se
quello dell’affettività e dell’intimità è un diritto che contribuisce a
stabilizzare l’equilibrio psico fisico della persona, bisognerà valutare come
risolvere il problema per tutti quei detenuti che non hanno legami affettivi
all’esterno e che quindi non sono ammessi a usufruire di colloqui.
Al 31 ottobre scorso
erano presenti in carcere 52.434 detenuti di cui 17342 stranieri (es. 2672
rumeni, 2772 marocchini, 2330 albanesi, 1872 tunisini). Si tratta di una
popolazione detenuta, molto giovane e spesso senza una famiglia (moglie,
amica, amante, fidanzata), che non riesce ad usufruire di benefici ben più
importanti, quali ad esempio le misure alternative al carcere. E’ noto che la
mancanza di un famiglia, di un luogo di residenza, di un domicilio, di un punto
di riferimento esterno, diventa, per la Magistratura di Sorveglianza, motivo di
rigetto delle istanze tese ad ottenere tali benefici.
Sarà un bel problema
per la Direzione trovare una risposta per quei detenuti stranieri – ma la cosa
riguarda anche tanti italiani single o abbandonati dalle famiglie – che
presenteranno la “domandina” per essere ammessi, come gli altri, alle “stanze
dell’affettività”. Ci sarà un proliferare di “amiche”, “fidanzate”, “amanti”,
“conviventi” e tanto tanto lavoro per verificarne l’attendibilità. A meno che
non si vogliano ricreare in carcere le condizioni negate all’esterno dal 1957
con l’abolizione della legge Merlin.