Se è
uno strumento indispensabile per la vita quotidiana nei villaggi di fame, lo è
ancora di più se da quei villaggi di fame si prova a uscire per tentare una
vita altrove.
Alessandro
Gilioli – dal Blog "Piovono rane" – L'Espresso - 26.6.2015
Uno dei luoghi più comuni
nella letteratura di base contro gli immigrati - le telefonate alle radio, i
titoli di Libero, gli sfoghi sui social - è quel misto di stupore e di sdegno
perché moltissimi tra quanti arrivano con i barconi sono muniti di telefono
mobile, a volte anche di buona qualità.
La cosa è
interessante perché tradisce la convinzione che il cellulare sia un oggetto se
non da ricchi, quanto meno non da affamati, non da disperati; o forse
addirittura un bene superfluo, uno status proprio di chi sta nella mid-class o
ancor più su, come da noi negli anni Novanta.
Capisco la
dispercezione, ma è appunto sbagliata.
Ogni giorno nel
porto di Lomé, così come in altri centri commerciali africani, arrivano decine
di migliaia di cellulari. Sono quasi tutti di produzione cinese o, in
alternativa, scarti dell'Europa, vale a dire quei telefonini che noi abbiamo
buttato via: molti dei quali non funzionanti, ma utili a metterne insieme uno
che invece va benissimo se smontato e rimontato con i pezzi di altri.
Questo gigantesco
import avviene perché in Africa (ma un po' in tutte le economie fortemente
rurali e arretrate, comprese alcune asiatiche) la domanda di telefonini è
enorme e dovuta all'uso decisamente diverso che se ne fa, rispetto a noi
europei o americani.
Qualche tempo fa
l'Economist dedicò al tema un piccolo approfondimento,
avvalendosi di una ricerca fatta sul Kenya. In generale, in quei tipi di
economia il cellulare è fondamentale non per chattare su Facebook o giocare a
Ruzzle, ma per molte delle attività che garantiscono la sopravvivenza, in
contesti dove tra l'altro la telefonia fissa è molto scarsa.
Con un cellulare, ad
esempio, posso sapere dalla mia rete sociale (la vastissima "nuvola"
parentale-amicale propria di quei Paesi) dove c'è erba per pascolare le capre e
dove no; dove andare a recuperare l'acqua se il rigagnolo abituale si è estinto
per siccità; da chi farmi prestare un mulo o un dromedario se non ce l'ho e
devo fare un trasporto di legna perché la pioggia mi ha tirato giù mezza casa.
E così via: attività
appunto di sopravvivenza. Così come di sopravvivenza è l'uso del cellulare per
il trasferimento di denaro, uno dei punti più sottolineati dall'Economist, e
sappiamo che l'arrivo o meno di soldi dai parenti emigrati è spesso decisivo
per campare la famiglia intera. La stessa ricerca citata dal settimanale
inglese rivela come il mantenimento del credito del telefonino sia diventato
talmente importante da indurre molti a rinunciare perfino a mangiare con
regolarità o ad altri consumi molto basic.
Non è uno scoop, è
una cosa che chiunque abbia frequentato un po' i peggiori villaggi africani o
asiatici ha visto con i suoi occhi: donne e uomini vestiti letteralmente di
stracci, che dormono nella merda di capra, ma muniti di cellulare. E se la
prima volta la cosa può straniare un po', basta fare tre domande per capire che
non si tratta di una scelta eccentrica o consumista, ma molto pragmatica ed
essenziale. Specie in villaggi dispersi in immense aree e collegati tra loro
solo da sentieri da fare a piedi.
Quanto ai costi
dell'hardware, anche qui si tratta solo di sapere alcune cose fondamentali,
prima di indignarsi.
I cellulari in mano
agli africani sono, di solito, cinesi o occidentali-rigenerati, ma ormai ci
sono anche produzioni locali. Non si va certo a comprarli nei negozi in città
(quelli con le vetrine), ma sulle bancarelle o attraverso le varie forme di
commercio informale (il cugino dell'amico dello zio della vicina). In questo
modo, si riescono a trovare device perfettamente funzionanti e a volte di marca
tra i 15 e i 30 dollari. Calcolando un guadagno medio della classe più bassa
attorno ai due o tre dollari al giorno, si capisce che, con qualche sacrificio,
nel giro di tre o quattro mesi quasi chiunque è in grado di acquistarne uno.
Inoltre, ultimamente molte aziende che producono telefonini hanno lanciato
modelli low cost (compresi alcuni smartphone) e Microsoft, ad esempio, su quei
mercati propone un Nokia 215 a 29 dollari.
Ecco, quando vediamo
un migrante sul barcone con il cellulare in mano, forse dovremmo sapere tutto
questo. E magari anche che attraversare il deserto del Sudan e della Libia
senza telefonino equivale a votarsi al suicidio sicuro: quindi se è uno
strumento indispensabile per la vita quotidiana nei villaggi di fame, lo è
ancora di più se da quei villaggi di fame si prova a uscire per tentare una vita
altrove.