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(da : Aldo Maturo - "Il carcere che ha segnato la
nostra storia" - Il Resto del Carlino - 8 febbraio 2013)
Forse è il mese di luglio quello che da sempre scandisce i
trapassi storici del vecchio “carcerone”, come lo chiamano affettuosamente gli
abitanti di Fossombrone. Quello del 1977 segnò il passaggio a carcere di
massima sicurezza, destinato ad ospitare selezionatissimi detenuti a capo
di organizzazioni criminali comuni o terroristiche.
In quello del 1932 si passò da Casa di Segregazione
Cellulare a Casa di Reclusione per delinquenti abituali, professionali o per
tendenza, con il fine di dare attuazione al principio, già maturato in quel
periodo, di una funzione sociale e pedagogica della pena. L’obiettivo era
che il livello di vita nelle prigioni non doveva mai superare quello più basso
sofferto dalla popolazione libera.
L’abolizione
della segregazione cellulare consentì tra l’altro di trascorrere parte della
giornata insieme ad altri detenuti o di partecipare alle attività dei
laboratori interni di calzoleria e sartoria. Ma gli eventi bellici e la
necessità per il fascismo di neutralizzare gli oppositori fecero ben presto
accantonare le belle intenzioni e Fossombrone ritornò al rigore di prima
con l’arrivo dei detenuti politici, tra cui Mario Vinciguerra, redattore
del Resto del Carlino, noto antifascista, come testimonia ancora oggi la
lapide che campeggia all’ingresso del portone centrale.
La vita
all’interno non doveva essere molto serena, come si evince da una ricerca
effettuata nel 1980 dalla Dr.ssa Marina Fabbri, con la sua tesi di laurea in
sociologia “Il carcere di Fossombrone: storia di un’istituzione totale”.
Diverbi tra i compagni, grida, scherzi non consentiti erano infrazioni
punite con la cella a pane e acqua per diversi giorni, al pari dello
sciopero della fame. La partecipazione a tumulti comportava il trasferimento
nelle Case di Rigore e l’ingiuria al Direttore poteva costare anche tre mesi di
cella di punizione.
Un altro
luglio, quello del 1941, segnò la storia del carcere che voltò completamente
pagina diventando carcere femminile con 199 detenute. La loro presenza
determinò anche il cambio del personale di vigilanza, funzione assunta
dalle suore (invero le suore hanno assolto a tale ruolo in tutte le
carceri femminili fino agli anni ’70, quando sono state affiancate e poi
sostituite dalle vigilatrici penitenziarie. Il ruolo femminile della Polizia
Penitenziaria sarà poi istituito nel 1990, con la legge di riforma del Corpo).
Contrariamente
alle aspettative, la convivenza tra detenute e personale di custodia religioso
non rasserenò il clima all’interno del carcere. Severi controlli, restrizioni,
una rigida disciplina contribuivano a creare rapporti conflittuali tra le
detenute e il personale. Le punizioni e il frequente ricorso alle celle di
isolamento acuivano l’odio che aleggiava nell’aria, creando inevitabili
contrapposizioni con le suore e la necessità di trovare rifugio e sollievo
nell’amore verso una compagna, con scambi di piccoli regali, di un anellino, di
un centrino o del dono del già scarso cibo.
La gamma
dei reati per cui le donne erano lì detenute andava dall’omicidio alla truffa,
furto, prostituzione, violenza carnale, parricidio e incesto. Di estrazione
molto umile, erano quasi tutte casalinghe, meridionali e con un’età media tra i
20 e i 30 anni. L’enciclica di Pio XI “Casti Connubi” del 1931 aveva esaltato
ancor più l’importanza del matrimonio e della vita umana e forse anche per
questo nel solo carcere di Fossombrone su 199 presenti ben 71 erano
detenute per procurato aborto e infanticidio (in maggior parte del Centro
Italia) e altre 9 erano indicate come “levatrici”, punite con pene molto
lunghe.
Gli
sviluppi della guerra coinvolsero anche il carcere di Fossombrone. Secondo un
memoriale conservato presso il Muzej novejše zgodovine Slovenije (Museo
nazionale di storia contemporanea) di Lubiana, nel carcere di
Fossombrone furono detenute - tra il 1942 e l'estate del 1943 - 152 donne
jugoslave condannate (probabilmente dai tribunali di guerra) a pene molto
severe. Erano partigiane jugoslave accusate di attività antinazionale,
propaganda sovversiva, partecipazione ad associazione sovversiva,
partecipazione a banda armata, concorso in attentati contro le forze armate
dello Stato.
Particolarmente
interessante, secondo una ricerca effettuata da Andrea Giuseppini nel suo
sito “I campi fascisti dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò”, è
l’episodio dello scambio di prigionieri proposto al V Corpo d’ Armata italiano
dal Comando Partigiano del territorio Primorsko – Goranski. I partigiani
richiesero la restituzione di Danica Loncar, contadina, importante
partigiana detenuta nel carcere di Fossombrone, con soldati italiani
prigionieri dei partigiani slavi. Agli atti vi è tutta la documentazione
ufficiale e lo scambio di lettere tra i due Comandi. Lo scambio non fu
accettato perché la Danica era stata già condannata a 14 anni di reclusione per
favoreggiamento e una direttiva di Mussolini aveva vietato lo scambio di
prigionieri già condannati dai Tribunali di guerra.
Le
detenute slave resteranno a Fossombrone, a disposizione della Polizia Segreta
Tedesca di Firenze e del Comando Militare Tedesco di Lubijana, fino alla loro
scarcerazione nel dicembre 1943. Nel vecchio carcere rimarranno detenute
italiane, colpevoli di aver collaborato con i tedeschi dopo l’armistizio dell’8
settembre, condannate per “collaborazionismo col tedesco invasore” o
“violazione di proclama”. A seguito dell’amnistia dell’aprile ’44, la
maggioranza delle detenute lasciò il carcere lasciando il testimone a una
trentina che non ne avevano beneficiato.
Vi
resteranno solo pochi mesi perché il 3 maggio del 1944 iniziarono le incursioni
aeree su Fossombrone per distruggere i due ponti sul Metauro ed isolare il
paese.
A causa
del gravissimo pericolo, il Direttore chiese ed ottenne il trasferimento
delle detenute e delle suore che vennero tutte spostate nella Casa di
Rieducazione Minorile di Via Raffaello ad Urbino, dove vi resteranno fino a
febbraio del 1946, data del trasferimento al carcere femminile di
Perugia.
Si chiudeva così definitivamente la parentesi rosa nella
storia del carcere forsempronese perché dopo la guerra l’istituto riaprì come
Casa di Reclusione ordinaria maschile, avviandosi a lunghi passi a diventare un
istituto protagonista nel mondo penitenziario italiano.