sabato 9 febbraio 2013

FOSSOMBRONE: IL CARCERE CHE HA SEGNATO LA NOSTRA STORIA

 


Nel 1941 è stato anche carcere femminile. 199 donne tra cui 152 donne jugoslave condannate dai tribunali di guerra a pene molto severe. Erano a disposizione della Polizia segreta tedesca di Firenze e del Comando militare tedesco di Lubjana.

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(da : Aldo Maturo - "Il carcere che ha segnato la nostra storia" -  Il Resto del Carlino -  8 febbraio 2013)


Forse è il mese di luglio quello che da sempre scandisce i trapassi storici del vecchio “carcerone”, come lo chiamano affettuosamente gli abitanti di Fossombrone.  Quello del 1977 segnò il passaggio a carcere di massima sicurezza, destinato ad ospitare selezionatissimi detenuti a capo  di organizzazioni criminali comuni o terroristiche. 


In quello del 1932 si passò da Casa di Segregazione Cellulare a Casa di Reclusione per delinquenti abituali, professionali o per tendenza, con il fine di dare attuazione al principio, già maturato in quel periodo, di una funzione sociale e pedagogica della pena. L’obiettivo  era che il livello di vita nelle prigioni non doveva mai superare quello più basso sofferto dalla popolazione libera.

L’abolizione della segregazione cellulare consentì tra l’altro di trascorrere parte della giornata insieme ad altri detenuti o di partecipare alle attività dei laboratori interni di calzoleria e sartoria. Ma gli eventi bellici e la necessità per il fascismo di neutralizzare gli oppositori fecero ben presto accantonare le belle intenzioni e  Fossombrone ritornò al rigore di prima con l’arrivo dei  detenuti politici, tra cui Mario Vinciguerra, redattore del Resto del Carlino, noto antifascista, come testimonia ancora oggi  la lapide  che campeggia all’ingresso del portone centrale.

La vita all’interno non doveva essere molto serena, come si evince da una ricerca effettuata nel 1980 dalla Dr.ssa Marina Fabbri, con la sua tesi di laurea in sociologia “Il carcere di Fossombrone: storia di un’istituzione totale”. Diverbi tra i compagni, grida, scherzi non consentiti erano infrazioni punite  con la cella a pane e acqua per diversi giorni, al pari dello sciopero della fame. La partecipazione a tumulti comportava il trasferimento nelle Case di Rigore e l’ingiuria al Direttore poteva costare anche tre mesi di cella di punizione.

Un altro luglio, quello del 1941, segnò la storia del carcere che voltò completamente pagina diventando carcere femminile con 199 detenute. La loro presenza determinò anche il cambio del personale di vigilanza, funzione assunta dalle  suore (invero le suore hanno assolto a tale ruolo in tutte le carceri femminili fino agli anni ’70, quando sono state affiancate e poi sostituite dalle vigilatrici penitenziarie. Il ruolo femminile della Polizia Penitenziaria sarà poi istituito nel 1990, con la legge di riforma del Corpo).

Contrariamente alle aspettative, la convivenza tra detenute e personale di custodia religioso non rasserenò il clima all’interno del carcere. Severi controlli, restrizioni, una rigida disciplina contribuivano a creare rapporti conflittuali tra le detenute e il personale. Le punizioni e il frequente ricorso alle celle di isolamento acuivano l’odio che aleggiava nell’aria, creando inevitabili contrapposizioni con le suore e la necessità di trovare rifugio e sollievo nell’amore verso una compagna, con scambi di piccoli regali, di un anellino, di un centrino o del dono del già scarso cibo.

La gamma dei reati per cui le donne erano lì detenute andava dall’omicidio alla truffa, furto, prostituzione, violenza carnale, parricidio e incesto. Di estrazione molto umile, erano quasi tutte casalinghe, meridionali e con un’età media tra i 20 e i 30 anni. L’enciclica di Pio XI “Casti Connubi” del 1931 aveva esaltato ancor più l’importanza del matrimonio e della vita umana e forse anche per questo nel solo carcere di Fossombrone su 199 presenti ben 71 erano detenute  per procurato aborto e infanticidio (in maggior parte del Centro Italia) e  altre 9 erano indicate come “levatrici”, punite con pene molto lunghe.

Gli sviluppi della guerra coinvolsero anche il carcere di Fossombrone. Secondo un memoriale conservato presso il Muzej novejše zgodovine Slovenije (Museo nazionale di storia contemporanea) di Lubiana, nel carcere di Fossombrone furono detenute - tra il 1942 e l'estate del 1943 - 152 donne jugoslave condannate (probabilmente dai tribunali di guerra) a pene molto severe. Erano partigiane jugoslave accusate di attività antinazionale, propaganda sovversiva, partecipazione ad associazione sovversiva, partecipazione a banda armata, concorso in attentati contro le forze armate dello Stato.

Particolarmente interessante, secondo una ricerca effettuata da Andrea Giuseppini nel suo sito  “I campi fascisti dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò”, è l’episodio dello scambio di prigionieri proposto al V Corpo d’ Armata italiano dal  Comando Partigiano del territorio Primorsko – Goranski. I partigiani richiesero la restituzione di Danica Loncar, contadina,  importante partigiana detenuta nel carcere di Fossombrone, con soldati italiani prigionieri dei partigiani slavi. Agli atti vi è tutta la documentazione ufficiale e lo scambio di lettere tra i due Comandi. Lo scambio non fu accettato perché la Danica era stata già condannata a 14 anni di reclusione per favoreggiamento e una direttiva di Mussolini aveva vietato lo scambio di prigionieri già condannati dai Tribunali di guerra.

 Le detenute slave resteranno a Fossombrone, a disposizione della Polizia Segreta Tedesca di Firenze e del Comando Militare Tedesco di Lubijana, fino alla loro scarcerazione nel dicembre 1943. Nel  vecchio carcere rimarranno detenute italiane, colpevoli di aver collaborato con i tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre, condannate per “collaborazionismo col tedesco invasore” o “violazione di proclama”. A seguito dell’amnistia dell’aprile ’44, la maggioranza delle detenute lasciò il carcere lasciando il testimone a una trentina che non ne avevano beneficiato.

 Vi resteranno solo pochi mesi perché il 3 maggio del 1944 iniziarono le incursioni aeree su Fossombrone per distruggere i due ponti sul Metauro ed isolare il paese.  

A causa del gravissimo pericolo, il Direttore chiese ed ottenne il trasferimento delle detenute e delle suore che vennero tutte spostate nella Casa di Rieducazione Minorile di Via Raffaello ad Urbino, dove vi resteranno fino a febbraio del 1946, data del trasferimento al carcere femminile di Perugia.  

Si chiudeva così definitivamente la parentesi rosa nella storia del carcere forsempronese perché dopo la guerra l’istituto riaprì come Casa di Reclusione ordinaria maschile, avviandosi a lunghi passi a diventare un istituto protagonista nel mondo penitenziario italiano.