Salvini ha proposto il modello Australia per l'emigrazione. In questo Paese si entra solo legalmente e non ci si può
sbarcare seguendo rotte illegali. I suoi mari sono pattugliati notte e giorno
da navi della marina militare e della Guardia Costiera che intercettano tutte
le imbarcazioni sospette che si avvicinano alle coste.
Aldo Maturo
L’Australia ha una popolazione di 24 milioni di abitanti e,
secondo studi demoscopici, la crescita è destinata a proseguire al ritmo di un
nuovo abitante ogni minuto e mezzo. L’arrivo di nuove forze lavoro, in un Paese
di 7 milioni di kmq (24 volte più grande dell’Italia) è incentivato dal
Governo conservatore con vari tipi di Visto (http://www.gostudy.it/visto-australia/
).
Una tale apertura è funzionale alle
esigenze del Governo, considerando che un quarto dei residenti (circa 6 milioni
di abitanti) provengono da oltre oceano e sono un po’ rappresentativi di tutte
le nazioni nel mondo. L’italiano è la seconda lingua più parlata del
continente.
Una cosa, però, è certa: in questo
Paese si entra solo legalmente e non ci si può sbarcare seguendo rotte
illegali. I suoi mari sono pattugliati notte e giorno da navi della marina
militare e della Guardia Costiera che intercettano tutte le imbarcazioni
sospette che si avvicinano alle coste. Ci sono diverse procedure di
“respingimento”. Il natante viene avvicinato, fermato e identificato dai militari australiani
specializzati in azioni di abbordaggio. La barca, se i documenti e i
passaporti non sono in regola, viene collegata con un cavo alla nave
australiana e viene rimorchiata senza esitazione fino alle acque territoriali
da dove è partita (in genere quelle indonesiane). Lì si sgancia il cavo e viene
lasciata andare per raggiungere da sola il porto di provenienza. I più fortunati vengono trainati fino alle
coste di partenza. Altre volte, invece, i migranti vengono prelevati dalle
imbarcazioni ed inviati nei Centri di Detenzione Temporanea da dove, dopo
qualche giorno o dopo diversi mesi, vengono trasferiti nei Paesi di provenienza
se la loro richiesta viene respinta. Si dice che talvolta i migranti
irregolari siano stati messi su imbarcazioni di salvataggio e trainati fino al
limite delle acque territoriali indonesiane, dove sono stati lasciati in balia
del mare e del loro destino.
E’ chiaro che con questa procedura il
controllo sugli aventi diritto a chiedere asilo diventa puramente utopistico.
I Centri di Detenzione temporanea
dove si viene “deportati” in attesa delle decisioni del governo di Camberra
sono situati in due isolette del Pacifico, Nauru e Manus.
è a nord-est dell’Australia, da cui dista 3.000 km. E’
una minuscola repubblica autonoma che per anni ha goduto di benessere per
le miniere di fosfato. Terminato lo sfruttamento, per sopravvivere, è stata
costretta a sottoscrivere con l’Australia (2001) un Trattato con cui ha
accettato, in cambio di aiuti economici, di ospitare un Centro di detenzione
per i richiedenti asilo in Australia. I migranti-detenuti sono attualmente circa un migliaio, quasi
tutti apolidi o iraniani, afghani e cingalesi. Fra loro anche un centinaio di
bambini. Vivono in tende da 20 posti, con una temperatura interna anche di 40
gradi o con i piedi nell’acqua nella stagione delle piogge. Sono divisi tra
rifugiati e richiedenti asilo. I primi vivono con la comunità indigena, sia pur
con diverse limitazioni. I secondi vivono chiusi nel Centro in attesa che il
Governo australiano decida la loro sorte.
Il comportamento dell’Australia è
stato condannato non solo dalle organizzazioni umanitarie ma anche dall’ONU, ma
questo non pare aver preoccupato il governo. La corte Suprema della Nuova
Guinea ad aprile 2016 ha confermato che la detenzione delle 800 persone
detenute sull’isola di Manus deve cessare ma
l’Australia continua a ritenere che “chiunque venga intercettato mentre
tenta di raggiungere l’Australia su una barca, viene spedito nei campi di Nauru
e Manus per le procedure amministrative, senza la possibilità di essere un
giorno reinsediati nel Paese come rifugiati”.
I richiedenti asilo cui viene accolta
la domanda, infatti, non vengono ammessi in Australia ma ricevono un permesso
di soggiorno per stabilirsi in Papua Nuova Guinea o a 3.000 km. dalle coste
australiane, l’isola di Nauru, appunto.
Quanto costa tutta questa procedura? Per
il 2013 e 2014 è costata due miliardi di euro (Triton, nel nostro Canale di
Sicilia, costa solo 3 milioni al
mese, trentasei milioni all’anno) perché l’Australia deve pagare non solo i
costi del pattugliamento (circa 400 milioni l’anno, che è più di dieci volte il
costo di Triton) e la manutenzione dei Centri di Detenzione ma anche il Governo
della Nuova Guinea che accetta di avere quei Centri sul suo territorio. Aiuti
vengono dati anche ad altri Paesi limitrofi per riprendersi i loro migranti e
incentivi vengono offerti a chi accetta di rientrare volontariamente nel Paese
di origine.
Sono tutte
condizioni irrealizzabili per l’Italia, sia per l’impossibilità di sostenere
costi simili sia per mancanza di interlocutori, visto che la Libia o altri
Paesi del Magreb non accetterebbero mai di costruire sui loro territori dei
Centri di Identificazione a uso e consumo dell’Italia o dell’Europa o di
riprendersi migranti di incerta provenienza.