Una bella
e ridente signora senza biglietto, un'altra col caschetto biondo, la coppia con
la valigiona, la signorina col tacchetto e il ragioniere con la borsetta con la
merenda. Scene da un treno di pendolari del nostro Sud. E’ come
un pezzo di teatro, il teatro dell’assurdo di Ionesco.
Filomena Rita Di Mezza, Scrittrice, Psicoterapeuta.
22.11.2017
A Recale la Polizia
ferroviaria fa scendere quattro o cinque persone senza biglietto, forse otto o
nove (mi confondo con episodi analoghi che si verificano ogni mattina su questo
treno). La bella ridente signora, invitata a scendere con una certa veemenza da
un poliziotto impostato, gli risponde con voce fin troppo alta, come è tipico
di tutti noi del sud, forse per esuberanza di vita o perché viviamo in spazi
molto ampi:
“Papà…non lavoro…capo” e ancora
“Papà…non lavoro…capo”
e non si capisce se: il padre non
lavora, perciò lei non può acquistare il biglietto e allora il poliziotto è il capo; o se si sta rivolgendo al
poliziotto transitando seduttivamente dalla parola “papà” a “capo” e, in
quest’ultimo caso, si resta a riflettere sull’abilità comunicativa della
signora che mi pare di certo più intelligente di quella di tanti psicologi
della formazione ai quali il biglietto del treno non viene pagato, perché gli
si paga direttamente quello dell’aereo!
Mentre il treno riparte speriamo
che non ci siano altri “soliti
imprevisti”, ossimoro che si impara a gustare in questi viaggi in cui i
reiterati accidenti sono, in ordine di importanza della calamità: soppressione
del treno con allegato “inesistenza di
mezzo alternativo di trasporto”, “guasto nell’impianto elettrico” o anche in quello “idraulico” (questo meno
comprensibile per le nostre menti semplici che vorrebbero solo dormire alle 6
30 del mattino, fino a destinazione) “sciopero
di…”, “blocco del passaggio a livello
e attesa di un auto che viene da Solopaca con i tecnici” e così…via…si fa
per dire!
Se le cose andranno
sufficientemente bene le Ferrovie dello Stato accumuleranno un dignitoso
ritardo compreso tra i dieci quindici minuti –abbastanza competitivo con il
quarto d’ora accademico- e potranno elegantemente concludere “ci scusiamo per il disagio”, formula
che non credo sia altrettanto spendibile con la propria azienda da parte dei
molti lavoratori pendolari che usano questo treno. Comunque, siamo al sud,
troveremo un aggiustamento creativo e, per favore, non facciamo i pesantoni che
c’è sempre chi sta peggio di noi!
La signora col caschetto biondo
conosce tutti gli orari, gli incroci, le precedenze, gli scambi,i i nomi dei
controllori, dei macchinisti e persino di qualche dirigente e con zelante
premura ammonisce, riprende, si arrabbia, prova a impartire sensati
consigli per rendere il viaggio più consono alla spesa, cinque euro e venti. In
una cordiale atmosfera, quasi di gestione domestica, dice in inverno:
“…ma qui fa troppo caldo”risposta:
“Non posso regolare meglio la temperatura”
e in estate:
“…ma qui si gela”
risposta:
“Non posso regolare meglio la temperatura”
“…ma non è possibile, ci deve essere un sistema!”
risposta:
“…si sposti alla carrozza più avanti o più dietro, dove c’è più o meno caldo/freddo o apra/chiuda i finestrini o si tolga o metta il cappotto”.
E’ un pezzo di teatro, questo, il teatro dell’assurdo di Ionesco.
La coppia con la valigiona, la signorina col tacchetto e il ragioniere con la borsetta con la merenda corrono corrono corrono appresso al treno che si ferma a trecento metri dall’ingresso della stazione:
“Ma dove vuole fermarsi stamattina, ad Amorosi?”
è il commento affannato dei nostri passeggeri che hanno l’esigenza di salire alla prima carrozza.
“…ma no” - risponde affabile il controllore - “è che questo è un treno molto lungo”.
Silenzio di riflessione. Una logica serrata da far invidia alle barzellette sui carabinieri.
“Pronto…cosa? Non sento!! No, non sono ancora in fabbrica.
Cosa è questo rumore di ferraglia? Ah, sì, è il treno metropolitano. Che
significa? Significa che sto tornando a casa su un treno che prima era
metropolitano, brutto, scomodo e che fa rumore peggio delle macchine in
fabbrica. Quanto ho pagato il biglietto? : “Andata e ritorno dieci euro e quaranta.”
Ieri, però, il treno era
quello nuovo e comodo, non ha accumulato ritardo, la temperatura era giusta, la
bella ridente signora chiacchierava con uno psicologo della formazione e la
polizia ferroviaria non si è vista, il controllore mi ha sorriso “tutto bene?”, “sì, grazie” e la signora col caschetto biondo poteva finalmente
appisolarsi, come una semplice cliente delle Ferrovie dello Stato.
Fine della corsa.
Filomena Rita Di Mezza