Anche se è difficile provare il nesso di causalità,
la vittima ha a disposizione diverse forme di tutela.
Avv. Aldo Maturo, per
Deve essere terribile
uscire di casa tutti i giorni per andare al lavoro pensando che le ore
trascorreranno in uno stato di conflittualità permanente per i difficili
rapporti con colleghi invidiosi, gelosi o prevaricatori. Ancora peggio se un
tale rapporto riguarda il superiore gerarchico, capoufficio o caporeparto che
sia.
Le giornate lavorative si
susseguono in un clima di pressione psicologica che rende la vita impossibile e
spinge il lavoratore verso uno stato di depressione sempre più invalidante.
Pare che solo in Italia le
vittime del mobbing siano un milione e mezzo con una percentuale del 70% nella
pubblica amministrazione.
Mobbing
E’ quello che gli inglesi,
in una accezione ormai consolidata, chiamano mobbing, dal verbo “to mob”, aggredire, cioè un complesso di
violenze morali e psicologiche esercitate su un dipendente nell’ambiente di
lavoro. I mobbers (aggressori) possono essere i superiori gerarchici, (mobbing
verticale), i colleghi di lavoro (mobbing orizzontale) ma anche i dipendenti
(mobbing ascendente).
La Cassazione (sentenza
n.87 del 10.1.2012) ha qualificato come mobbing la condotta del datore di
lavoro nei confronti del dipendente
caratterizzata da sistematici e
reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di
prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la
mortificazione morale e l’emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e della sua
personalità.
Alcuni esempi di
comportamenti ostili, vessatori e discriminatori possono essere ad esempio:
- atteggiamento
palesemente difforme del superiore rispetto agli altri dipendenti;
- sistematico discredito,
calunnia, diffamazione di colleghi verso un altro collega;
- dequalificazione nel
lavoro;
- diniego immotivato di
permessi o ferie;
- accuse generiche, non
supportate da fatti o circostanze;
- rimproveri alla presenza
di colleghi pari grado, inferiori o in pubblico;
- critiche continue e
immotivate, aggressioni verbali;
- demansionamento e
attribuzione di compiti dequalificanti e non adeguati alla propria professionalità
(se però le mansioni ritenute dequalificanti possono essere ritenute
equivalenti allora questo rientra nel diritto del datore di lavoro di organizzare
l’ufficio o l’azienda)
- desocializzazione con
isolamento fisico in uffici decentrati, senza contatti con altri, negando
all’interessato le informazioni di lavoro necessarie;
- richiesta di più
controlli medico-fiscali per lo stesso periodo di assenza per malattia,
diversamente dalle prassi seguite nei confronti di altri;
- distacchi illegittimi;
- minacce continue o
immotivate di procedimenti disciplinari.
E’ opportuno evidenziare che non vi è
mobbing se non è provato il carattere persecutorio dei comportamenti
contestati (Cassazione, 28.9.2016 n.19180) mentre, d’altra parte, è stato
riconosciuto il mobbing anche senza l’evento dannoso essendo sufficiente la condotta avente
caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione risultante da una
connotazione emulativa e pretestuosa (Corte di Appello di Firenze, sentenza 17.11.2011
n.1100).
Forme di tutela
Forme di tutela contro il
mobbing possono essere la denunzia al
dirigente gerarchicamente sovraordinato all’autore del mobbing, la tutela sindacale, la segnalazione/denunzia al Ministero o Azienda che hanno l’obbligo
di proteggere i loro dipendenti (Cassazione,n.1471 del 9.4.2013) e ne
rispondono quanto meno ai sensi dell’art.2087 c.c. che impone l'obbligo per il datore di lavoro di adottare
le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del
prestatore. L’estrema soluzione resta
quella della tutela davanti al
magistrato, sapendo che bisogna provare la presenza di tutti gli
elementi costitutivi oggettivi e soggettivi costituenti l’azione mobizzante
nonché l’intento persecutorio da parte
del mobber. (Cassazione, n.3875 del 26.12.2008). E’ chiaro che non c’è
mobbing se lo stato psicofisico del denunziante è attribuibile a mania di
persecuzione.
Se il ricorso per vie
giudiziarie va a buon fine, si può chiedere il risarcimento danni perché è risarcibile ogni danno esistenziale di
qualsiasi natura ed entità, purchè accertabile. (Cassazione, n.3057 del 2012).
Straining
Diversamente dal
mobbing, nello Straining manca la continuità
nelle azioni vessatorie che sono invece limitate
nel numero e distanziate nel tempo. Il soggetto vive sul posto di lavoro
una situazione di stress forzato non per i normali ritmi di lavoro ma perché è
destinatario da parte di un superiore di un’azione
volutamente ostile, stressante e discriminante che, pur senza continuità, riflette nel tempo gli effetti dell’azione
ingiusta (Cassazione n.3291/2016)
Si pensi ad esempio al
trasferimento immotivato in una sede disagiata, all’affidamento di un carico di
lavoro insostenibile nel tempo richiesto, alla collocazione in una stanza
disadorna, alla privazione del computer di lavoro per un tempo ingiustificato.
Anche in questo caso scade la qualità della vita del soggetto che si sente
discriminato ingiustamente e può accusare disturbi psicofisici.
Il lavoratore vittima di
straining può invocare davanti al giudice la tutela prevista dalla legge 81/08,
perché il Datore di lavoro deve vigilare sul comportamento dei suoi dirigenti e
in caso negativo deve risarcire la vittima che abbia prodotto prove sufficienti
a dimostrare gli abusi subìti, anche attraverso testimonianze di colleghi, di
perizie mediche e di consulenze psicologiche.
Alcune sentenze della
Cassazione sul Mobbing : http://www.chiarasangels.net/pagine/sentenze-mobbing.pdf