Le stradine in discesa con i pastori e le pastorelle con le galline a fianco, il laghetto e il fiumicello con la carta argentata, il gregge con l’onnipresente Benino, il pastore che dorme su un fianco, le casette intagliate dalle scatole di medicina vuote, paperelle, galline e, nel punto più bello, la grotta con la natività e i zampognari. Sul fondale le montagne e il foglione azzurro per il cielo stellato.
Ogni anno si discuteva se mettere già i re Magi o se aspettare la Befana per farli apparire. Anche la presenza del “Bambiniello” era dubbia. A casa mia si aspettava la mezzanotte del Natale per metterlo giù, accompagnandolo nella sua mangiatoia di paglia a luci spente e con le candele in mano.
Il presepe inventava ogni volta un paese e sembrava che ne raccontasse la vita, era il simbolo della natività e alla fine lo si restava a guardare con gioia ed intima soddisfazione anche nella sua magica semplicità.
Era Natale, ci si sentiva tutti più vicini, più comunità. In quelle nostre case si respirava aria di cultura natalizia, di tradizioni familiari, di legami col passato.
Sono le cose belle da ricordare, sono le cose vissute da bambino o da ragazzo e ti collegano in maniera struggente e nostalgica con il tempo che fu. Ti capita di cercarle inutilmente nel presente e ti accorgi che non ci sono più.