mercoledì 26 marzo 2014

DIFFAMAZIONE A MEZZO FACEBOOK



 Con sentenza del 24 marzo 2014, n. 13604 la Corte di cassazione ha stabilito che la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l’onore e la reputazione di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l’obbligo di risarcimento economico del conseguente danno morale.




Scritto da  rob-crime, nel Blog Criminologia e Diritto, 26.3.2014

Avevamo affrontato, in un precedente post (consultabile cliccando qui), il tema della diffamazione a mezzo Internet, affrontando, in quella sede, proprio la questione della diffamazione operata sul Social Network più popolare in assoluto: Facebook. A distanza di 20 giorni dalla pubblicazione di questo nostro post, la Corte di Cassazione torna sull’argomento, sancendo come offendere la reputazione su facebook è da considerarsi reato di diffamazione.

Con sentenza del 24 marzo 2014, n. 13604, infatti, la Corte di cassazione ha stabilito che la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l’onore e la reputazione di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l’obbligo di risarcimento economico del conseguente danno morale. La novità della sentenza è, soprattutto, quello di aver anche sancito che non è necessario indicare nome e cognome della persona a cui è rivolta un’allusione offensiva: se la “vittima” è facilmente individuabile e la frase incriminata è postata sul proprio o l’altrui stato di Facebook o in commento a qualche altro post, scatta ugualmente il reato di diffamazione. Screditare le persone su Facebook, anche senza indicare il nome, può comportare il rischio di una querela se si capisce chiaramente di chi si parla: la semplice allusione, infatti, può integrare il reato.
E’ bene, quindi, stare sempre attenti. Se, infatti, il riferimento alla vittima contenuto nel post diffamatorio non dovesse essere chiaro e immediato, si può passare dalla ragione al torto e rischiare una controquerela per calunnia. Fino ad oggi vi era stata una sentenza del Tribunale di Monza (Sent. n.770/2010) che aveva affermato, sostanzialmente, lo stesso principio secondo il quale <<la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l’onore, la reputazione e il decoro di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l’obbligo di risarcimento del conseguente danno morale>>.
Se il post incriminato viene cancellato non tutto è perduto e la possibilità di far valere i propri diritti in Tribunale può trovare strade alternative. Possiamo distinguere due ipotesi.
La prima è quella in cui il destinatario del post non sia stato tanto avveduto dal fare, prima della cancellazione, una stampa, uno screenshot o una fotografia della pagina in cui era visibile il suddetto testo. In questo caso, l’unico modo per ricostruire la realtà storica di quanto avvenuto è quella di avvalersi di uno o più testimoni che potranno dichiarare quanto hanno visto, specificando nella maniera più dettagliata possibile il contenuto del testo ed il suo autore.
Un secondo modo per poter giungere ad una dichiarazione di responsabilità penale nei confronti di chi ha pubblicato il post offensivo è, come si diceva prima, quello di creare immediatamente una riproduzione meccanica del testo prima che lo stesso venga cancellato dal suo autore o da Facebook stesso in caso di nostra segnalazione. La riproduzione potrebbe avvenire facendo una “stampa” della pagina Facebook, magari conservando della stessa un file in .jpeg o in .pdf con uno “screenshot”, o ancora facendo una fotografia della pagina visualizzata dal proprio computer.  In questi casi, la vittima avrà una prova ulteriore da utilizzare in processo.
La legge considera riproduzioni meccaniche le riproduzioni fotografiche, cinematografiche, le videoregistrazioni. Vi rientrano anche, secondo consolidata giurisprudenza, i documenti informatici privi di firma digitale. Le riproduzioni e le registrazioni possono essere formate su qualsiasi supporto materiale come, ad esempio, fogli di carta, cd, dvd, o altri supporti come penne usb e sono rilevanti ai fini del processo soltanto quando sono relative a comportamenti utili alla risoluzione della controversia.
Secondo un pacifico principio giurisprudenziale, inoltre, le riproduzioni meccaniche, proprio per via delle modalità della loro formazione al di fuori del processo e, quindi, senza le garanzie dello stesso, fanno piena prova delle cose e dei fatti in esse rappresentati fino a disconoscimento della loro conformità ai fatti. In pratica, la controparte autrice del testo potrebbe contestare, ad esempio, che le conversazioni o le dichiarazioni contenute in una registrazione audio siano realmente avvenute o, magari, che l’immagine riprodotta in stampa sia il frutto di un fotomontaggio, o che il post sia rimasto pubblicato solo per poche frazioni di secondo. In ogni caso, tale disconoscimento, effettuato dal reo deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. In pratica chi contesta la riproduzione meccanica deve anche dare delle valide motivazioni per cui effettua tale disconoscimento.